Mentre scrivevo questo articolo non sapevo se ridere, se piangere o se ridere in modo isterico :)
Negli ultimi anni ho vissuto sulla mia pelle la più entusiasmante, ma anche faticosa, avventura lavorativa della mia vita: la libera professione.
Lavorare in proprio ha enormi vantaggi ma vuol dire anche sacrifici ed un costante mettersi in discussione; incontrando tanti clienti, con svariatissime esigenze ho dovuto attingere alle mie esperienze lavorative (anche pregresse risalenti al periodo in cui ero dipendente) ed a molteplici libri e manuali, che mi hanno sviscerato lo smart work.
Ogni volta che arrivavo alla fine di un capitolo mi dicevo:
“Sono sempre stato uno smart worker ma non lo sapevo!”
Negli anni 80-90 l’aspirazione massima era il posto fisso con scrivania al 20esimo piano di un grattacielo, con segretaria, macchina aziendale, benefit…ma anche orari disumani.
Essere uno smart worker al giorno d’oggi ha soppiantato questo vecchio sogno lavorativo: essere padroni del proprio tempo, denaro, energie, competenze, conoscenze.
Ma…ma…ma siamo proprio sicuri che essere uno smart worker nel mondo attuale sia totalmente realizzabile? In un mondo che rincorre ancora il posto fisso per poter pagare il mutuo della casa o la rata dell’auto, in che maniera è possibile essere uno smart worker senza essere risucchiati nel conosciuto e temuto vortice di ansie da prestazione e crisi da scarsi risultati?
Come al solito ci viene in aiuto una storia realmente accaduta che ho ascoltato durante una consulenza di Smile Marketing per un cliente.
Filippo (nome fittizio) qualche anno fa lascia un importante incarico in una piccola azienda; ricopriva un ruolo di responsabilità, aveva un contratto a tempo indeterminato, le sue mansioni spaziavano dalla gestione del personale alle relazioni commerciali con la clientela.
E pure tutto questo non gli bastava, perchè non aveva molte possibilità di poter esprimere a pieno il suo talento cozzando spesso con la proprietà per le sue idee di marketing aziendale, le pubbliche relazioni e la gestione del personale: la persona ed il suo benessere venivano sempre davanti al profitto, anzi lo generavano se sviluppati opportunamente.
L’unica maniera per portare a compimento questo progetto lavorativo, o almeno provarci, era lanciarsi in una carriera da freelance, libero professionista, sperimentando ogni singolo giorno cosa volesse dire uno smart worker.
Filippo era entusiasta nel primo periodo, libero come un’aquila ma ignorava che sul terreno, nascosti tra gli alberi ci sono cacciatori, abili cacciatori capaci di colpirlo. Convinto che la libera professione sia la possibilità unica per poter essere felice lavorativamente, incappa in un nuovo progetto che come ogni esperienza nella vita, all’inizio trasuda passione, novità, rispetto, fantasia; ma se queste qualità rimangono scisse tra di esse, come ogni cosa nella vita, anche una start up può miseramente fallire, costruendo le mura e contemporaneamente erodendo le fondamenta.
Filippo incontra i clienti, ascolta il progetto, invia il preventivo le cui condizioni i clienti cominciano a modificare e, lì cominciano a sorgere i primi segnali che qualcosa potrebbe andare storto. E così succede poco alla volta, vediamo come:
I clienti saldano le rate del preventivo in ritardo, seguendo i propri tempi e non quelli dettati da Filippo.
Il progetto subisce innumerevoli modifiche, troppo spesso influenzate dall’umore, da gusti puramente personali che non da strategie commerciali.
I clienti tornano ciclicamente sui propri passi riesumando vecchie modifiche e stravolgendo costantemente il progetto.
Vanno fuori dall’elenco puntato altre tappe di questa esperienza di Filippo. Celeberrima la telefonata che riceve dai clienti, arrabbiati, innervositi, indisponenti perchè
“non fa ciò che dicono e visto che sono loro a pagare lui deve farlo”.
Tra parentesi e fuori dalle virgolette, Filippo viene scelto per sviluppare una parte del progetto, non tutto; ma i clienti dimenticano questo aspetto durante la telefonata ed inveiscono contro Filippo, che non può fare altro che minacciare di chiudere la telefonata senza un eventuale cambio di modi e toni.
A metà del percorso lavorativo i clienti affiancano a Filippo altri freelance con l’intento di velocizzare i tempi e potenziare il progetto, ma questi ultimi hanno gli stessi modi dei clienti durante la telefonata. Insomma un vero e proprio incubo che ci riporta al titolo di questo articolo: smart worker o “strunz” worker? Se non conosci il napoletano la parola strunz ha molteplici significati: scaltro, cattivo, furbo, infame ma anche fesso. E su quest’accezione che poniamo la nostra attenzione.
Essere uno "strunz" worker si traduce con il non avere orari, sottostare a tutte le bizzarrie dei clienti, non prendersi una pausa durante il progetto, fare sempre si con la testa, essere reperibile 24 ore su 24, non prendere troppe iniziative e chiedere il permesso per ogni singolo e piccolo passo mosso per far decollare il progetto.
Essere uno smart worker non vuol dire essere un allocco che pende dalle labbra dei clienti, che assorbe come una spugna improperi e lamentele; non vuol dire elemosinare lavori pur di portare a casa qualche soldino, ma avere il coraggio di rifiutare collaborazioni con clienti che non rispettano la sua persona e, di conseguenza il suo lavoro.
Il freelance non ha padroni ma rispetta i clienti.
Il freelance rispetta le scadenze, ma gli capita di pranzare o dormire.
Il freelance non ha contratti ma chiede il rispetto dei preventivi.
Il freelance se non sa fare studia, ma non è dio sceso in terra.
Il freelance può collaborare con chiunque, ma non riceve ordini da nessuno.
Non essere strunz...sii smart!
Riconosci sempre e comunque l'importanza delle tue competenze ed il tuo valore come persona e professionista.
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