Nella mia esperienza lavorativa passata ho sempre sentito questa frase:
“Sei in gamba, ma dovresti tagliarti la barba / tagliarti i capelli / vestirti in diverso modo / parlare così / dire queste parole"
Insomma hai compreso di cosa sto parlando; pur di lavorare e di portare a casa la “pagnotta” mi sono sempre e sottolineo sempre dovuto adeguare ad un clichè imposto da altre persone.
Se sul look potevo sorvolare, non ho mai accettato di buon grado l’imposizione al cambiamento caratteriale; per mantenere buoni i clienti, i colleghi, i superiori dovevo mantenere una maschera, recitare una parte.
Sono sicuro che questo capita anche a te e se stai leggendo questo articolo possiamo arrivare insieme non tanto ad una soluzione (quella è dentro di te), ma ad una chiave di lettura che possa aiutarti a venirne fuori.
Certi luoghi di lavoro impongono una divisa (come le grandi catene), un abbigliamento preciso (come la giacca e la cravatta in banca) e non sempre i dipendenti sono dell'umore adatto per indossare determinati abiti o per mantenere un look non congeniale ai loro gusti.
Mi ripeto: questo aspetto, benché non lo condivida totalmente, lo accetto, perché può dare un tocco di classe o migliorare l'immagine dell’intera azienda.
Ricordo il giorno in cui decisi di far crescere i capelli.
Lavoravo come direttore commerciale e ricevetti una costante serie di critiche e frecciatine sul fatto che stessi facendo crescere i capelli. Davvero non capivo come una folta chioma piuttosto di una testa rasata potesse minare le qualità lavorative; infatti non cambiava nulla, a parte il fatto che io dovessi essere omologato al resto dell’azienda.
Dopo vari ragionamenti e ripensamenti tagliai i capelli, andando contro me stesso ed accontentando il titolare. I capelli erano solo la punta dell’iceberg: per essere ritenuto valido di ricoprire la carica di direttore dovevo continuamente mentire, tenere una sorta di gioco di sotterfugi e bugie per far contento il titolare.
Ma la mia coscienza ed il mio spirito urlavano in silenzio
che non potevo continuare a mantenere quella maschera di fango incollata al viso.
L’apoteosi della manipolazione la raggiunsi nel periodo in cui seguivo uno stage per diventare direttore in una famosa catena di risto-pizzerie. Lavoravo da un mese ed ero molto bravo come cameriere, ma non avendo la giusta “cattiveria” con i miei sottoposti non potevo essere un valido direttore. A quel punto intervenne uno dei miei tutor/responsabili dicendomi:
“Caro Stefano, sei forte come cameriere, veloce, gentile ed efficiente. Ma se vuoi essere direttore devi cambiare e l’unica maniera per farlo è che ti affidi a me e ti lasci plasmare nelle mie mani”
Dopo 2 giorni lasciai quel lavoro, che mi allettava molto a livello economico e come esperienza lavorativa, ma non era la mia strada: non appena capii che stavo andando incontro ad essere (o sembrare) un’altra persona, gettai la spugna. Non come segno di resa, né di sconfitta, ma per liberarmi le mani ed impugnare la mia vita (non solo lavorativa).
La chiave del tuo successo è l’affermazione di te stesso.
Cioè dire sempre, comunque, costantemente e prima di ogni cosa, Sì a te stesso; affermare a te stesso che la tua felicità dipende esclusivamente da te.
Se credi che tagliare i capelli o la barba, fregare i clienti, essere un’altra persona, mentire a clienti, colleghi e soprattutto a te stesso, sia un abominio, perché mina e rosicchia lentamente la tua felicità, fermati ed impugna la tua vita per renderla un capolavoro (cit.).